BRUCOBALTO, alle origini di un incontro

La folle idea di fondare un gruppo di ricerca artistica ci è piovuta addosso quasi senza volerlo, in un pomeriggio di fine estate del 2015. Noi tre stavamo fantasticando e ci raccontavamo i nostri progetti futuri prendendo un caffè insieme in terrazzo. Non sapevamo tante cose, ancora: se Alice si sarebbe anche laureata, dopo il diploma in Drammaturgia, se Francesca sarebbe riuscita a proseguire la sua esperienza come artista terapista insieme ai suoi compagni di corso oppure in autonomia, e se sarebbe mai diventato il suo lavoro, se Serena avrebbe mai trovato il modo di impiegare le sue conoscenze di Teatro Sociale fresche di master nel suo percorso da psicologa avviato verso la laurea. Ma soprattutto, non sapevamo ancora che quel caffè sarebbe stato il primo di una lunga, lunghissima serie, che è diventata la prassi e tradizione di ogni riunione dell’equipe Brucobalto.

Quel pomeriggio una piccola consapevolezza in più occupò per la prima volta quel tavolo, tra tazzine e biscotti, strisciando morbida e leggera sui taccuini mezzi scritti e sugli spunti che avevamo portato quel giorno. Senza nemmeno volerlo, stavamo imparando a condividere e progettare in ottica multidisciplinare.

“Quella che il bruco chiama fine del mondo, il resto del mondo chiama farfalla”
Lao Tsu

Il passaggio da bruco a farfalla è la metafora più usata, ed abusata anche, del processo creativo: l’artista che crea, lo scrittore che elabora, il poeta che cerca le parole giuste, l’attore che allena il suo corpo sono tutti ugualmente affamati e laboriosi come il piccolo bruco che si deve riempire di foglie, mangiare e mangiare per raccogliere le forze e iniziare quella metamorfosi che gli consentirà addirittura di volare. Entrare nel bozzolo, quello stato di grazia, è il momento creativo che è metamorfosi profonda della natura stessa del tuo essere. Che ne sa il bruco dei colori che avranno le sue ali? Li sceglie? Li immagina, magari, nel suo lungo sonno sospeso? Persino il nome di questo stadio, la crisalide, richiama un processo che va oltre il fisico, coinvolge la sfera profonda, inconscia, forse anche spirituale dell’individuo. Ed infine, emergere come farfalla: l’opera d’arte finita in tutta sua effimera concretezza, nella sua leggera bellezza, carica di esperienze di chi l’ha creata ma completamente diversa dalla somma delle stesse, un nuovo essere fine a sé stesso, capace di emozionare, meravigliare, in altre parole, di volare.

“Il bambino è la prova che nella specie umana, la farfalla precede il bruco”
P. Véron

Il parallelismo con la crescita, e soprattutto con lo sviluppo della propria consapevolezza attraverso l’esperienza, è immediato.

Questa crescita è possibile solo in relazione con gli altri, in gruppo, attraverso l’osservazione reciproca, l’espressione personale e la capacità di ascoltare e cogliere il contributo degli altri. La forma d’arte che più di tutte si basa sulla relazione è senza ombra di dubbio il Teatro.

Anche in questo campo la metafora del bruco è talmente radicata e metabolizzata fin dalle origini che il nome larva in latino prese a significare la maschera teatrale, capace di liberare le verità spirituali, quelle più vere e nascoste di ciascun partecipante allo spettacolo.

Proprio al teatro, nella sua dimensione più libera e creativa, quella laboratoriale e sociale, guardiamo nei nostri percorsi per rendere una vera esperienza l’incontro dei partecipanti con l’arte, con una storia, con un momento della nostra crescita come individui e come gruppo. In un laboratorio siamo come nel bozzolo del bruco: sogniamo sospesi, tra un mondo e un altro, tra quello che siamo stati e che, una volta usciti dall’esperienza, forse saremo.

credit to @TheyCanTalk Comics

Perché allora scomodare anche il colore blu? Non era quella del bruco da sola una metafora già abbastanza carica di significati da bastare per centinaia di gruppi e ricerche? Perché l’opera d’arte, nel nostro modo di vedere, non è solo la farfalla, la fine di un viaggio, ma anche vera e propria materia da incontrare e rielaborare, un altro mezzo ancora in cui riversare la propria voce, in cui sperimentarsi e concedersi di giocare.

“Per me i colori sono degli esseri viventi, degli individui molto evoluti che si integrano con noi e con tutto il mondo. I colori sono i veri abitanti dello spazio.”
Yves Klein

Blu, il colore della giusta distanza, dalle cose, dalla vita, dalle persone. La distanza da ciò che ci circonda, il centimetri che poniamo fra noi e ciò che ci interpella, uno sguardo, un rapporto. Il blu è un colore molto presente proprio perché non è possibile astenersi dall’avere una distanza-vicinanza dalle cose e dalle persone, è inoltre il colore del quale il nostro occhio percepisce più gradienti.

Il blu è ovviamente il colore del cielo e del mare, i quali mostrano immediatamente la loro principale caratteristica con un’altezza e una profondità dai tratti sconfinati, infiniti ed eterni, un legame imprescindibile con il concetto di spazio.

Blu acqua è quando ci immergiamo nelle situazioni: Preferisco stare a riva dove l’acqua è più chiara e il mio sguardo più ampio o immergermi nel profondo? Quanto rischio e quanto mi faccio fermare dalla paura? La giusta distanza è il saper guardare ogni gradiente in ogni situazione e scegliere dove pormi, senza farmi trascinare dalla corrente. È un’operazione che richiede quasi una certa freddezza, lucidità che non ha a che fare col calcolo, quanto più con quella tranquillità necessaria per capire fin dove posso arrivare.

In campo educativo è una qualità molto importante sapere dov’è più giusto situarsi: una relazione non può essere coinvolgente a tal punto da perdere i confini dei ruoli, non può essere di un blu troppo scuro e profondo, ma non può neanche essere caratterizzata da un bianco glaciale, da quell’azzurro freddo sinonimo di distacco eccessivo. Bisogna conoscere quando è il momento per avvicinarsi e quando lasciare più spazio.

Per immergersi non è sempre possibile tuffarsi, per guadagnare profondità occorre tempo. È il tempo che ci permette di capire, di conoscere davvero, scopriamo quindi come le due dimensioni di spazio e tempo si trovino sempre in rapporto fra loro, l’una influisce sull’altra ed entrambe sulla nostra vita.

Ci proviamo solo ora, a più di tre anni di distanza da quel pomeriggio e tanti percorsi alle spalle progettati e conclusi, a spiegarvi l’origine del nome Brucobalto come un’attenta miscela di simboli e referenze, la somma dei nostri campi di interesse uniti insieme in un neologismo dal sapore di favola, per piacere ai bambini e strizzare l’occhio ai grandi che vorrebbero tornare ad esserlo, anche solo per un breve momento esperienziale.

Tutti questi significati sono veri, ed è anche vera la storia del bruco caduto sul tavolo. Per questo lo trovate lì nel nostro logo, all’inizio di tutto, a riposare soddisfatto dopo aver mangiato la foglia, quel furbetto.

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